Convegno 24.3.2011 “Capitalismo avanzato e finanza innovativa” – Relazione della Prof. Ombretta Fumagalli Carulli – Funzione economica e sociale della proprietà immobiliare privata. Commento di Achille Colombo Clerici a margine del convegno

Dichiarazione del presidente di Assoedilizia e vice presidente di Confedilizia Achille Colombo Clerici: 
“Gli investitori privati nel settore immobiliare, edilizio e della casa hanno svolto storicamente un ruolo di grandissimo rilievo sociale ed economico. 

Da un lato, hanno infatti sostenuto, secondato ed indirizzato lo sviluppo urbano delle nostre città permettendo di affrontare e superare i grandi processi di trasformazione socio-economica che hanno attraversato il Paese, soprattutto dal secondo Dopoguerra ad oggi.

Con ciò peraltro innescando un meccanismo  virtuoso sul piano della continua crescita economica. 

D’altro lato, mediante lo strumento della locazione hanno permesso risposte concrete ai crescenti fabbisogni abitativi, terziario-commerciali-industriali-artigianali, svolgendo in questo campo indirettamente una funzione di finanziamento del sistema produttivo italiano.”

Milano 24 marzo 2011- Università degli Studi
Ombretta Fumagalli Carulli
Direttore dell’Istituto giuridico della Università Cattolica del Sacro Cuore
Proprietà consumo e risparmio nella prospettiva costituzionale di Pier Luigi Zampetti

Sommario: 1. Uno scienziato cristiano al servizio dello Stato e della Chiesa; 2. Proprietà, consumo e risparmio nella teoria della partecipazione; 3. Lo Stato delle autonomie e la famiglia

Nel ringraziare il prof. Paolo De Carli e la Fondazione Zampetti per l’invito a parlarvi come relatore, preciso che intendo collocare il mio apporto tra la riflessione scientifica e la testimonianza personale.  

1. Uno scienziato cristiano al servizio dello Stato e della Chiesa

Gli scritti, per quanto frutto di passione e non solo di meditazione teoretica, non sempre riescono a trasmettere al lettore le motivazioni profonde dell’autore, le inquietudini o le certezze del suo mondo interiore.

Al fine di presentare qualche elemento introspettivo della poliedrica personalità di Pier Luigi Zampetti -ovviamente nei tratti che la nostra amicizia e la mia sensibilità mi consentirono di cogliere-, premetto qualche ricordo delle conversazioni avute con lui negli anni di una duplice comune appartenenza dapprima al CSM e successivamente all’Accademia Pontificia per le Scienze Sociali.

Al servizio di due istituzioni tanto diverse ma entrambe incidenti sull’ethos civile o religioso, egli mi fece partecipe di alcune proposte e speranze. Esse mi rivelarono subito l’autenticità del suo essere cristiano ed, indirettamente, si collegano al tema oggi affidatomi.

Nonostante la stessa provenienza universitaria, entrambi laureati dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, a causa della differenza di età, non avevamo avuto modo di frequentarci prima del 1981, quando la Democrazia Cristiana ci chiese la disponibilità per l’elezione da parte del Parlamento al Consiglio Superiore della Magistratura. Entrambi risultati eletti, entrammo nel CSM, presieduto da Sandro Pertini e negli ultimi mesi della nostra permanenza da Francesco Cossiga. Condividemmo fatiche e soddisfazioni, oneri ed onori dell’appartenenza ad un organismo istituzionale tanto significativo quanto spesso nell’occhio del ciclone. Zampetti divenne Presidente della Commissione speciale per la Riforma giudiziaria e l’Amministrazione della giustizia, particolarmente adatta per la sua preparazione ed attitudine. Ci ritrovavamo seduti a fianco durante le sedute del plenum intorno al tavolo circolare dell’Aula dedicata a Vittorio Bachelet. In quelle lunghissime ore, protratte per l’intera giornata e talvolta anche durante la notte, pur con la doverosa attenzione alle pratiche da trattare, scambiare qualche parola  con chi condividesse gli stessi valori umani e spirituali era per entrambi un sollievo. Una consuetudine durata quattro anni e mezzo ci consentì pertanto di conoscerci meglio e di confrontare i nostri percorsi culturali.

Ricordo ancora oggi con quale scrupolo egli cercasse soluzioni eque e con quale rispetto trattasse l’ordine giudiziario, per la terzietà che esso doveva rappresentare a garanzia dell’eguaglianza dei cittadini. Ma ricordo anche con quale senso delle “cose ultime”, ogni giorno, intorno alle ore 18, egli comunicasse a me (capogruppo del gruppo DC) che si sarebbe allontanato per partecipare alla Messa in una Chiesa vicina a Palazzo dei Marescialli. Nel bel mezzo di qualche accesa discussione e con il timore che si giungesse ad una spaccatura in sede di votazione con la sconfitta del nostro fronte, talvolta la sua mi pareva una pietas eccessiva, anche perché mi costringeva ad interventi defatiganti l’uditorio e strumentali a prendere tempo, finché egli arrivasse. Egli invece era tranquillo, sicuro che la Provvidenza ci avrebbe dato una mano. Come in effetti puntualmente avveniva.

Un momento durissimo fu la morte della amatissima genitrice, il 6 settembre 1983. Egli diceva di dovere a lei un’educazione cristiana non solo spiritualmente attenta, ma anche intelligente nell’indicargli settori di ricerca da esplorare: ad esempio l’influenza dell’economia nella vita politica e sociale, che, come vedremo. diventerà una cifra personale della sua opera scientifica. Il volume “L’uomo e il lavoro nella nuova società” è scritto e portato a compimento durante la malattia di lei e per suo espresso desiderio, come scritto nell’affettuosa dedica che apre il libro.  

Conclusa nel 1986 l’esperienza comune al CSM, avemmo ancora occasioni di incontro, ma solo sporadiche, come capita a chi intraprende vie tra loro non intersecate. Zampetti rientrò all’Università e si recò spesso in Paesi latino-americani, dove la sua teoria della partecipazione aveva un alto indice di gradimento nel mondo universitario come in quello politico; io nell’87 entrai in Parlamento.

Nell’approssimarsi dell’anno duemila riprendemmo la consuetudine di frequenti conversazioni su temi di intreccio tra diritto ed economia, focalizzanti sempre il Magistero sociale della Chiesa. Prima ancora di leggere i suoi scritti, in quei confronti cominciai già allora a comprendere come per lui il rapporto tra proprietà, consumo e risparmio fosse intimamente connesso all’idea di Stato.

Alla fine del ’97 mi venne affidato il compito di organizzare il Giubileo dei Responsabili della cosa pubblica, in stretta collaborazione con il Comitato vaticano e la Segreteria di Stato. Zampetti, da tre anni Accademico Pontificio per le Scienze Sociali, seppe dell’iniziativa, una novità nella pur lunga storia dei Giubilei. Mi contattò. Ben lieta di riprendere il filo degli incontri, lo misi al corrente dei nostri obiettivi e gli chiesi qualche consiglio, come è naturale tra amici dalle analoghe radici spirituali e culturali.

L’Intergruppo italiano “Parlamentari per il Giubileo” stava preparando tre mozioni di giustizia  sociale internazionale, da inviare ai circa cento Intergruppi di altri Paesi dei cinque Continenti. Tre le tematiche: riduzione del debito estero dei Paesi in via di sviluppo; libertà religiosa e dignità della persona; etica e globalizzazione. Le sottoposi anche a lui poiché nella prima e nella terza erano impliciti temi a lui cari e che stava ulteriormente profondendo per il volume “Partecipazione e democrazia completa. La nuova via” (2002). Egli non solo le esaminò ma partecipò, in quanto Accademico Pontificio, all’Assemblea giubilare dei 1000 delegati dei cinque Continenti, tenutasi in Vaticano in Sala Nervi il 4 novembre 2000 alla  presenza di Giovanni Paolo II. Egli vide nell’appassionato intervento ai nostri lavori di Gorbaciov  conferma di quanto egli aveva scritto nel volume “La profezia di Fatima e il crollo del comunismo” (1990).

Questi ed altri confronti culturali, che nutrivano le nostre conversazioni, furono i motivi per i quali egli presentò la mia candidatura all’Accademica Pontificia per le Scienze Sociali. Le parole della sua presentazione evidenziano i valori per lui prioritari. Nel sottolineare come mia caratteristica “l’attitudine a rendere accessibili anche ai non addetti ai lavori ed a discutere con essi  i temi più complessi della vita della Chiesa, delle istituzioni statali e di quelle internazionali”, significativamente aggiunse: “nel rispetto del rigore scientifico e dei principi del Magistero”. Il “rispetto del rigore scientifico e dei principi del Magistero” era la regola seguita da lui stesso. Su essa non intendeva minimamente transigere. Ricordo un episodio nel quale, temendo che un Accademico deviasse dal magistero petrino, egli abbandonò la consueta mitezza per esprimere una di quelle vibrate indignazioni che solo i giusti possono permettersi.

Alla Pontificia Accademia potei riprendere la consuetudine di rapporti, anche famigliari, dei tempi del CSM. Ma solo per poco meno di un anno. Fu tempo breve e spesso impegnato a discutere la teoria della partecipazione, che egli aveva elaborato sviluppando intuizioni già di un costituente cattolico, Amintore Fanfani, uno dei “professorini della Università Cattolica” presenti alla Assemblea costituente e che ispirò il nostro sistema delle Partecipazioni Statali.

2. Proprietà, consumo e risparmio nella teoria della partecipazione  

Alla teoria della partecipazione, in alternativa sia al capitalismo sia al socialismo, Zampetti si dedica come ad una vera e propria missione, non solo scientifica ma anzitutto spirituale. Per essa ha significativi riconoscimenti in Università straniere: quella di Cordoba in Argentina lo nomina membro della propria Accademia delle Scienze. Politici latino-americani lo considerano per i loro stessi Paesi un “padre della Patria”. Lo ricordò, il giorno delle esequie, l’allora console generale di Bolivia in Italia, Alvaro Del Portillo, già Ministro nel suo Paese, nonché, in un incontro, che personalmente ebbi nel 1999 in Argentina, l’allora Presidente della Repubblica Eduardo Dualde.

Poiché la teoria della partecipazione è lo sfondo sul quale si staglia il tema affidatomi dei rapporti tra proprietà, consumo e risparmio, vediamone brevemente i tratti salienti.

Sin dal 1967, in una relazione “Democrazia rappresentativa e democrazia partecipativa” al Convegno di Dottrina dello Stato tenutosi a Perugia, Zampetti lancia il concetto di “democrazia partecipativa” e, successivamente, di “partito di elettori” e di “capitalismo popolare” (un concetto, quest’ultimo, caro ad un altro costituente cattolico, Tommaso Zerbi). Sono concetti che egli considera integrati  vicendevolmente e, se attuati, destinati a cambiare l’assetto della società e dello Stato. La democrazia partecipativa, in particolare, istituzionalizza la solidarietà senza cadere nell’assistenzialismo e consente l’effettivo concorso di tutti all’esercizio del potere. In questa ottica inquadra una serrata critica alla società consumistica, che egli ritiene frutto diretto di due fattori entrambi assai negativi: la società secolarizzata, cioè senza valori, nonché l’economicismo, come visione solo unilaterale dell’uomo.

Con quella attenzione ai problemi dell’economia che spesso i giuristi, sbagliando, disdegnano, egli sostiene che oggi non sono più i filosofi ad elaborare il pensiero, ma la massa indistinta degli operatori economici.

Ad evitare che le energie spirituali si sviliscano nelle leggi degli scambi commerciali, sotterrando o inutilizzando le migliori qualità dell’uomo, egli formula una suggestiva soluzione: la nascita di una coscienza che si opponga alla logica del consumismo permissivo e si impegni nella creazione di concetti sociali ed etici traducibili in azione diretta. I riferimenti di questa soluzione sono: la priorità del lavoro sul capitale, il senso del risparmio, la rinuncia ai beni inutili e immaginari, la partecipazione popolare agli investimenti produttivi, il potenziamento dei beni immateriali rappresentati dal mondo dell’informazione.

In antitesi ad ogni forma di materialismo, Zampetti auspica dunque l’alba di un nuovo “spiritualismo storico”. Lo spirito, afferma, con questa nuova filosofia deve di nuovo calarsi nella realtà storica e plasmarla dall’interno, così da consentire all’uomo di vincere la sfida del futuro e salvare il mondo dalla catastrofe. E recupera i materiali per la sua costruzione nella dottrina sociale della Chiesa, dalla quale, se correttamente applicata, è convinto possa emergere un nuovo modello di società e di Stato nel mondo intero. Essi sono: la persona umana, la soggettività della famiglia e della società, il principio di sussidiarietà, il bene comune universale.

Questi materiali gli consentono di superare l’insufficienza della democrazia rappresentativa, integrandola con la democrazia partecipativa, vera “democrazia della società”, mossa dalla sussidiarietà ed insieme dalla solidarietà.

Se già Locke affermava che la libertà è connessa alla proprietà e al lavoro che consente di ottenerla[1], Zampetti si sofferma sugli effetti del consumismo nella vita delle persone: il cittadino, “condannato” a consumare, ridotto alla figura di “elettore non proprietario”, o anche di “consumatore non proprietario”[2], non è affatto libero.

Radice di questa deriva consumistica è per lui il modello politico keynesiano, che, per far affluire denaro agli individui, li trasforma in consumatori passivi, così da dilatare la domanda globale. Due le obiezioni a Keynes. La prima è una distorsione della dimensione economica, ridotta a sistema produttivo acefalo[3], in cui non conta cosa si produce ma conta che si produca, con la conseguente distorsione della dimensione umana, ridotta a strumento della sola dimensione economica. La seconda è la trasformazione dello Stato, che diventa lo “Stato rappresentativo-assistenziale dei consumatori”[4].

La soluzione proposta da Zampetti è una “rivoluzione della rivoluzione keynesiana”. Occorre, egli afferma, non solo che lo Stato cessi di essere ciò che la «rivoluzione keynesiana» l’ha costretto a diventare, cioè «datore di consumo»[5]. Occorre anche che esso, anziché remunerare la capacità di consumo, remuneri l’iniziativa, mettendo così gli individui provvisti di capacità ed inventiva in condizione di promuovere e di espandere il processo produttivo, sia di beni che di servizi.

Di qui l’idea di costruire un nuovo sistema politico-costituzionale: “anziché uno Stato che consenta, anzi che promuova l’anteposizione del consumo alla produzione, è necessario uno Stato che ponga l’iniziativa e il lavoro innanzi alla produzione e al consumo”[6]. L’obiettivo è così delineato: consentire a tutti i cittadini di partecipare non passivamente ma attivamente alla costruzione della democrazia: “con la rivoluzione keynesiana – afferma Zampetti – tutti erano consumatori, ma passivi. Con la società partecipazionista, tutti sono lavoratori e quindi in grado di divenire consumatori attivi”[7].

La sua analisi scientifica è spesso profetica nelle osservazioni anche nei rapporti, oggi assai compromessi, tra ecosistema e responsabilità etiche.

In La sfida del Duemila (del 1988), ad esempio, scienza e profezia si intersecano, nel riprendere e perfezionare tesi già svolte o abbozzate in precedenza.

Ricordiamone insieme i contenuti. L’uomo occidentale -dice l’Autore- devasta la natura. Ma devasta anche se stesso. Il degrado ambientale deve preoccupare: dagli strappi nel manto di ozono, all’aumento della temperatura terrestre, al mare infetto, alla avanzata dei deserti, alla scomparsa di migliaia di specie viventi. Ancor più grave dell’inquinamento è la desertificazione dello spirito. La sua origine sta in quel “materialismo edonistico”, che strumentalizza ogni valore e riduce il progresso a una pura proliferazione dei beni di consumo.

3. Lo Stato delle autonomie e la famiglia

Partendo dall’analisi della situazione contemporanea socio-economica e dello Stato capitalistico,  Zampetti delinea una nuova concezione dello “Stato delle autonomie” come figura della democrazia partecipativa che incardina nella famiglia il suo modello di sviluppo

La famiglia, egli scrive nel ’96, “nasce per potenziare e sviluppare tutte le dimensioni. L’uomo da solo è imperfetto. Nella famiglia trova il suo perfezionamento. Nella famiglia, allora, si devono perfezionare le interazioni delle dimensioni umane. L’unità della persona diventa l’unità della famiglia”[8]. E’ essa che, nel nuovo Stato delle autonomie, diventa “la cerniera in grado di collegare tutti i soggetti sociali operanti nella società da un lato e i soggetti sociali così integrati e lo Stato dall’altro”[9]. E diventa cerniera in quanto “comproprietaria dei mezzi di produzione”[10], secondo un concetto, che, per lui, è l’unico che possa giustificare la “compartecipazione della famiglia in tutti i settori della società”[11]: senza comproprietà, egli afferma, non vi sarebbe “famiglia nella scuola, nel lavoro, nell’impresa, nell’assistenza, nella previdenza”[12].

C’è di più. La famiglia, elemento vivificatore del concetto di popolo, lo porta a riflessioni sulla categoria della sovranità: la sovranità popolare è la sovranità del popolo delle famiglie.

La sintonia con il magistero sociale della Chiesa è resa evidente dalla bella citazione di un famoso passo della “Lettera alle famiglie” di Giovanni Paolo II, posta ad exergo di un fortunato saggio (La sovranità della famiglia e lo Stato delle autonomie: un nuovo modello di sviluppo del 1996): “La famiglia –è detto da Giovanni Paolo II-  è soggetto più di ogni altra istituzione sociale: lo è più della Nazione, dello Stato, più della società e delle Organizzazioni internazionali. Queste società, specialmente le Nazioni, intanto godono di soggettività propria in quanto la ricevono dalle persone e dalle loro famiglie”. L’apprezzamento in particolare del pensiero di Giovanni Paolo II era peraltro già stato da lui manifestato nella dedica della prima edizione de La società partecipativa, dove il compianto Pontefice era ricordato come l’ “iniziatore con ‘Redemptor hominis’ di una nuova epoca nella storia”.

Nel proporre il concetto di sovranità della famiglia, egli non intende comunque sminuire la sovranità dello Stato: “sia ben chiaro –afferma– la sovranità della famiglia non è affatto alternativa alla sovranità dello Stato: è un momento essenziale della sua realizzazione”[13]. La sovranità della famiglia “potenzia” la sovranità dello Stato: «quando parlo di potenziamento dello Stato –precisa– alludo non certo allo Stato rappresentativo, ma allo Stato partecipativo. Stato partecipativo che, essendo al servizio dell’uomo, è in grado di promuovere il dispiegamento delle sue energie (in buona parte ibernate) in grado di irrorare e arricchire tutto il tessuto della società»[14]

In Partecipazione e democrazia completa, la rivoluzione in senso partecipazionista si compie. Se la sovranità della famiglia è condizione di possibilità della sovranità popolare e, perciò, della democrazia partecipativa, la famiglia, in quanto “soggetto sociale naturale”[15], diviene “il nuovo soggetto socio-politico e quindi il nuovo principe”[16].

Per realizzare questa “nuova società”, torna una delle note dominanti del pensiero di Zampetti: la critica alla società consumistica e la convinzione che essa sia effetto della politica keynesiana. “Con la società dei consumi – egli scrive – è avvenuta una sorta di rivoluzione copernicana, dove lo Stato è rappresentato dal sole e la famiglia dalla terra. Potrei dire che la società dei consumi ha introdotto una concezione stato-centrica in sostituzione di una concezione famiglia-centrica. In altri termini, lo Stato ha gradualmente occupato lo spazio che è proprio della famiglia”[17]. Il segnale inequivocabile di questo è il fenomeno della proletarizzazione delle famiglie: “lo Stato con una elevata pressione fiscale ha di fatto impedito alla famiglia di svolgere autonomamente le sue funzioni e, in ogni caso, di poter influenzare le funzioni sociali che lo Stato si è attribuito”[18].

Sarebbe interessante soffermarci sull’incidenza del sistema fiscale nella proletarizzazione delle famiglie. Non essendovene tempo, mi limito alla conclusione di Zampetti: la famiglia deve essere messa nelle condizioni di risparmiare e investire, oltre che consumare. Risparmio investimento e consumo sono le tre dimensioni (dunque: non il solo consumo) che, per l’ultimo Zampetti, dovrebbero costituire un nuovo concetto di proprietà, la “proprietà pleno iure con potere decisionale”[19].

Nell’ultimo agile volumetto, La dottrina sociale della Chiesa per la salvezza dell’uomo e del pianeta (2002), che sintetizza con terminologia divulgativa adatta ad un vasto pubblico di lettori (pubblicato dalle edizioni San Paolo) un volume dello stesso titolo dell’anno precedente (edito da Dino Editore), il punto di arrivo da lui auspicato si collega al punto di partenza, quasi a chiudere il cerchio delle riflessioni. La partecipazione, ribadisce Zampetti, riassumendo in una breve frase la sua pur complessa teoria, è «la vera e autentica sovranità popolare, nella quale si manifesta in tutta la sua maestà il popolo delle famiglie, che è il vero e autentico popolo»[20].

Egli era tanto convinto delle sue tesi sulla “sovranità della famiglia” da proporle nel giugno 2003 alla Presidenza CEI con una lettera di cui mi diede copia. Con le sue parole vorrei concludere. Ritenendo che, dopo la approvazione del titolo V della nostra Carta Costituzionale, esse potessero aprire strade nuove per il rilancio della famiglia a tutti i livelli nel nostro Paese, egli scriveva: “La voce dei Vescovi potrebbe così avere una grande incidenza nella formazione della opinione pubblica nazionale ed adeguata influenza nelle sedi istituzionali competenti della società e dello Stato”.  Sarebbe interessante conoscere quale seguito la lettera abbia avuto. Certo è che la proposta è tuttora stimolante.     


[1] Più precisamente, c’è innanzitutto un nesso tra proprietà (in senso stretto) e lavoro, dovuto al fatto che «qualunque cosa un uomo rimuova dallo stato in cui la natura l’ha prodotta e lasciata, mescola ad essa il proprio lavoro e vi unisce qualcosa che gli è proprio, e con ciò la rende una sua proprietà». Vi è poi un nesso tra proprietà (in senso largo) e libertà, nel senso che property include – per Locke – la vita, la libertà e i beni (estate) (cfr. J. Locke, Il secondo trattato sul governo, tr. it. di T. Magri, Bur, Milano 1998, pp. 97, 173).

[2] Zampetti, La partecipazione popolare al potere, p. 60.

[3] Ibi, p. 72.

[4] Zampetti, La sovranità della famiglia e lo Stato delle autonomie, pp. 22-23.

[5] Zampetti, La partecipazione popolare al potere, pp. 159-160.

[6] Ibi, p. 163.

[7] Ibi, p. 165.

[8] Zampetti, La sovranità della famiglia e lo Stato delle autonomie, p. 59.

[9] Zampetti, La sovranità della famiglia e lo Stato delle autonomie, p. 91.

[10] Zampetti, La sovranità della famiglia e lo Stato delle autonomie, p. 59; l’espressione è presa, come noto, da Laborem exercens, n. 14.

[11] Ibi, p. 62.

[12] Ibidem.

[13] Zampetti, La sovranità della famiglia e lo Stato delle autonomie, p. 85.

[14] Ibi, p. 107.

[15] Zampetti, Partecipazione e democrazia completa, p. 61.

[16] Ibi, p. 72.

[17] Zampetti, Partecipazione e democrazia completa, p. 62.

[18] Ibi, p. 63.

[19] Zampetti, La sfida del duemila, p. 61.

[20] P.L. Zampetti, La dottrina sociale della Chiesa per la salvezza dell’uomo e del pianeta, p. 45 (nel testo della Dino Editore, p. 74).

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