“Rigenerazione urbana e paradossi” Articolo pubblicato su QN Il Giorno del 27 novembre 2021 – di Achille Colombo Clerici
All’Europa, che ci chiede una ristrutturazione profonda di 100 milioni di metri quadrati di edificato, l’Italia risponde con la bozza di legge, predisposta dal MIMS e presentata alla XIII Commissione del Senato, sulla rigenerazione urbana che, invece di innescare una risposta di sistema, in grado di smuovere, incentivandoli, centinaia di migliaia di interventi spontanei, portati avanti dai diretti proprietari (coinvolgendo il risparmio privato), pretende di pilotare in modo dirigistico una serie di interventi privilegiati (attraverso la forma della negoziazione urbanistica propiziata da fondi e sgr) che saranno gestiti da soggetti privilegiati, fra cui le società pubbliche, le cooperative, le imprese, i consorzi unitari di piccoli proprietari.
Il meccanismo è il solito della vetero-urbanistica.
Quel risanamento degli edifici cittadini degradati e abbandonati, attraverso il meccanismo del deterrente dell’espropriazione per pubblica utilità, con eventuale riassegnazione ai soggetti attuatori (che, introdotto dalla legge 865 del 1971, già era stato dichiarato illegittimo dalla Corte Costituzionale).
Insomma si tratta di una legge tutta basata sull’ interferenza pubblica e sulla burocrazia; che è ciò di cui meno abbiamo bisogno.
Se guardiamo all’evoluzione dell’azione urbanistica in questi ultimi trenta quarant’anni, possiamo riscontrare come, di fronte al fallimento di tutte le politiche abitative ed edilizie praticate dai vari governi che (sotto la spinta dell’ideologia illiberale) hanno portato all’attuale stato di apatia e incapacità di azionedel settore privato, si sia passati da un dirigismo che si esercitava nel rispetto delle minoranze, ad un dirigismo, quello odierno che, disperso com’è nelle mille sfaccettature della discrezionalità, sacrifica le minoranze, come peso urbanistico ed economico, rischiando anche di sottrarsi al sindacato di legittimità costituzionale .
Per giungere a questo punto siamo passati attraverso la codificazione della negoziazione urbanistica, l’applicazione diffusa del principio della discrezionalità comunale, la sublimazione del criterio di perequazione, la teorizzazione di un concetto estremamente astratto di abbandono e di degrado degli edificiche va, dalla parziale utilizzazione o sottoutilizzazione, al sovraffollamento, alla compromissione degli equilibri ecosistemici, alla scarsa qualità sotto il profilo architettonico o urbanistico.
Il tutto in nome della semplificazione.
Ma una cosa è la semplificazione delle procedure che l’azione del cittadino deve seguire; altra cosa è far tabula rasa dei principi a tutela dei diritti dei cittadini, eliminare i paletti di legge, per spianare la via alla azione amministrativa del pubblico alleato al potere finanziario.
E allora le leggi diventano sempre meno precettive e sempre più dichiarative. Tendono a trasformarsi in proclami con diffusi preamboli che si sprecano, a mo’ di dichiarazioni d’intenti, nel sottolineare finalità etiche e politiche sempre più generali, astratte e generiche.
L’esegesi della norma si fa sempre più complicata e il precetto meno intellegibile. Forse oggi, come non mai precedentemente, la tutela dei diritti è diventata, così labile e difficoltosa; anche sul piano costituzionale.
Non sto a citare esempi di sentenze “politiche”. Ma ne abbiamo tutti una chiara contezza: anche in tempi recentissimi, a cominciare da quella sul blocco degli sfratti anche per morosità.

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